sabato 25 marzo 2017

Camminando per Gozo 2 - Walking to Gozo 2


Esplorazioni sulle verdi colline di Gozo 2
By Anthony Withdown

"Condividere l'esperienza di un cammino, unisce le persone che lo affrontano, per il resto della vita. Capire chi siamo e dove si vuole andare, però è un esperienza che va vissuta da soli" Anthony Withdown


19/3/17 Domenica

Oggi è una bella giornata, sole e l’immancabile venticello, come ieri parto verso le 12,00. Non è per pigrizia, ma l’umidità della notte bagna tutto e a quest’ora sarà asciutto. Sto con un jeans e scarpe da ginnastica, il mio abbigliamento da trekking è rimasto in Italia, spero di portarlo qui dal mio prossimo rientro patrio in Aprile. Arrivo all’ingresso del Yellow Red Trail, dietro dei cespugli fa capolino il mio bastone contorto, il buon vecchio Woody, sono contento di rivederlo. Si parte, risalgo per la prima volta il sentiero da questo verso. C’è sempre quella tribuna di fiori ed erba che mossi del vento mi fanno la hola di benvenuto. Alla mia sinistra, in alto vedo la mia collina, per ora sconosciuta, alla mia destra una vallata che conduce alle porte di Victoria e alle pendici della collina dove è appollaiata la Cittadella. L’unico disturbo visivo è un cementificio sulla strada che da Victoria sale verso Zebbug, brutto da dire brutto, tutto sgarrupato e polveroso, con dei poveri cristi che ci si guadagnano da vivere, ma non oggi, oggi è domenica anche per loro. Sempre salendo sulla mia destra il cementificio, per fortuna scompare, coperto da un mini boschetto con all’interno l’immancabile torretta di appostamento. Dopo 15 minuti dalla partenza, arrivo alla First Shadow. Come da programma, voglio prima fare un tentativo per ritrovare i miei occhiali perduti il giorno prima. Ripercorro a ritroso i miei passi, cercando di ricordare le svolte e i passaggi con gli occhi fissi al terreno. Dopo altri 10 minuti arrivo alla Second Shadow, anche li cerco ma invano. Ok mi dico o stanno alla torretta nascosta tra l’intricata vegetazione o dimentichiamoli.


Ricordo per fortuna l’esatto percorso, anche il passaggio nascosto tra le piante giganti di fichi d’india e sempre concentrato sul terreno, arrivo alla base della Honey Tower. Penso, ora salgo e li troverò li poggiati sul parapetto nel momento in cui ho fatto le foto. Seee magari fosse così facile, niente da fare, li sopra c’è solo un meraviglioso paesaggio che mi accoglie. Basta, ho perso già troppo tempo per dei consumati, occhiali da sole in plastica, si comincia a fare sul serio. Uscendo dall’intricato labirinto di fichi d’india, mi torna in mente un flash: “dov’è che sono caduto ieri?”. Mi guardo attorno, ieri avevo sbagliato strada per poter arrivare alla Honey Tower, ero passato tra delle rocce instabili che non portavano a nulla, le cerco. Si mi sembra di ricordare questo posto, salgo e scendo con attenzione e poi dietro degli arbusti ritrovo le grandi pietre tremolanti, guardo attentamente, ma non ce n’è bisogno, adagiati soavemente sopra un cespuglio erboso, ci sono i miei benodiati occhiali che mi fanno l’occhiolino. Rido tra me e me e ringrazio non so cosa, un affettuoso bacio e via dritti nella tasca chiusi dalla zip. Avrò perso in tutto 20 minuti per la ricerca, ma in fondo li avrò persi veramente quei minuti? Ora in fretta, cominciamo sul serio, supero la Second Shadow e attraverso la First Shadow. Sono alla base della collina senza nome. Prima di cominciare la salita ignota, mi giro verso valle e vedo questo paesaggio sconvolgente, che dire non ci sono parole per descriverlo, faccio qualche foto per non dimenticare. Riguardandole mi sembra di essere li.






Ritorniamo coi piedi per terra, devo salire su questa benedetta collina senza nome. Come la precedente BBHill, non ha evidenti punti di attacco. La costeggio o forse meglio dire la collineggio, sul lato sinistro, quello più abbordabile. Tra me e la parete ci sono una ventina di metri, costellati di detriti ricoperti di vegetazione, arbusti intricati, piante di fichi d’india di ogni dimensione e muri a secco semi crollati che delimitano il nulla. Alla mia sinistra più in basso, c’è una piccola coltivazione di cipolle. Pure qui? Penso. Ma la cosa nuova è che c’è un essere umano, immobile, seduto di spalle a contemplare l’orticello e il panorama. Chissà se si sarà accorto di me. Quasi quasi rompo il ghiaccio e gli chiedo se conosce un modo per salire sopra la collina. Nel silenzio pacifico della situazione alzando la voce dico con il mio zoppicante inglese “Good morning…sorry…” Il tipo si volta verso di me, è vestito in modo strano con in testa un copricapo strampalato tipo aviatore. Mi guarda per un nano secondo, si alza e muto se ne va! Quasi scappa, in poco tempo sparisce tra la vegetazione, io rimango come un imbecille ancora col ditino alzato nel chiedere l’informazione. Gente strana, penso, forse credeva fossi il padrone dell’orticello e che l’avessi colto in flagranza di  spuntino cipollesco. Vabbeh, mi arrangerò lo stesso. Mi riconcentro sulla collina, da una torretta in pietra posta sulla sommità della collina senza nome,  vedo una spaccatura in diagonale sulla roccia, sembra un passaggio per arrivare in cima e sembra percorribile. Mi faccio strada tra le sterpaglie, e attacco a salire. Mi ci è voluto più tempo a pensarlo che a farlo, in un attimo sono sopra, proprio sotto la torretta.




La collina è molto più grande della BBHill, sarà come due campi di calcio affiancati, una gigantesca portaerei. E’ piatta con tanta vegetazione, muretti e torrette  di sassi, sia lungo il perimetro ma anche all’interno. Anche qui è pieno di fiori e di profumi. Cespugli bassi  di timo che nasce spontaneo dappertutto, sono un'altra caratteristica ricorrente di queste magnifiche opere della natura. Salgo sulla torretta e mi affaccio verso sud. Sempre una meraviglia per gli occhi. Aguzzando la vista, vedo una seconda figura umana. Sta accovacciata proprio nel punto dove si sale per la BBHill, ai margini del campo di grano. Ma è la stessa persona di prima! Penso tra me e me. Si è proprio l’essere misterioso che era sparito nel verde poco prima. Guardando meglio, capisco che è un cacciatore, appostato, immobile come un sasso in attesa di chissà quale preda. Qui a parte uccellini, api e farfalle non c’è altro. Che situazione assurda, con tanta bellezza da vivere, starsene pietrificato sotto il sole per cosa poi? Lasciamolo alla sua pena e continuiamo la passeggiata nella piazza verde. Prima però un altra occhiata al sud conosciuto.


In quella pace assoluta, arriva un messaggio sul telefonino. E’ Sara, mia figlia, che precedentemente tanto avevo pregato di venire ma come al solito invano. Mi chiede di portargli un sasso ricordo della collina. Gli rispondo naturalmente di si e cerco di fargli capire cosa si è persa. Lo so, mi scrive, ma vedrai che un giorno mi ci porterai. Sarà, Sara, penso. Dopo, il benedetto sasso glielo cerco, ora continuiamo l'esplorazione. Percorro prima il bordo in senso antiorario, anche qui come nell’altra collina più in basso, paralleli al costone ci sono piccoli crepacci non più larghi di un metro per una decina di lunghezza, profondi abbastanza per farsi male. Quindi massima attenzione, specialmente quando si è incantati dal paesaggio circostante. Queste lingue di roccia  separate, sembrano ancora solide ma consiglio a chi  vuol fare escursionismo qui su, di evitare di camminarci sopra, prima o poi verranno giù, non acceleriamone il nefasto evento. Incontro vari   muretti bassi circolari, le famose torrette, qui in realtà sono più che altro dei ripari frangivento. Proseguendo la camminata verso il panorama sulla vallata per Marsalforn, trovo un abbozzo di sentiero che scende giù in direzione della First Shadow, anche se sparisce in un labirinto di vegetazione. Dopo quando dovrò ridiscendere, proverò a percorrerlo, probabilmente è un accesso più facile alla cima. Nella mia osservazione dal basso mi era sfuggito. Ancora pochi metri e l’affaccio sulla vallata è spettacolare, si vede anche il mare, lontano, blu in tutt’uno con il cielo. 
















Immortalo una piccola guglia staccatasi da madre collina per cercare la sua strada nel fondovalle. Proseguo il cammino ogni tanto guardo l’altopiano interno, si vedono degli alberi, muretti a secco, torrette e un mare d’erba e fiori.

Intravedo anche rare tracce di umani, tipo dei bidoni colorati, forse per raccogliere acqua piovana, non mi ci avvicino nemmeno, già da lontano guastano la vista. Sul versante nord est della collina trovo un sentiero carrabile che scende. Mi affaccio per capire, una ventina di metri più in basso c’è una bella coltivazione con annessa una casetta tipicamente contadina. Lascio momentaneamente  l’altipiano e scendo per il sentiero, anche qui, a parte il segno dell’homo sapiens, c’è un carnevale di colori della natura. Tutta la pendice è rigogliosamente ricamata di piante e fiori e gli immancabili fichi d’india. Trovo pure una grotta, fresca e asciutta, la visito fugacemente, scatto una foto ed esco.



Dopo un paio di tornanti del sentiero arrivo alle coltivazioni. Sono campi di cipolle, ordinate scrupolosamente con i loro pennacchi verdi che ballano nel vento. Vicino alla costruzione c’è un pozzo circolare di un paio di metri di diametro, con sopra una grata. Avvicinandomi al bordo in muratura, mi viene in mente un film dell’orrore. Ora mi affaccio e vedrò degli escursionisti curiosi prigionieri del contadino enigmista! Niente, solo acqua stagnante, per fortuna! Al posto dei turisti ci sono invece una decina di pesciolini rossi che scappano nel vedermi. Tutto intorno alla casetta disabitata, alberi di limoni carichi di frutto. Ne prendo uno per ricordo e lo infilo in tasca a far compagnia agli occhiali. Basta con tutta questa civiltà, ritorniamo su a far respirare l’anima. Risalgo velocemente il sentiero e continuo il cammino odoroso, dopo pochi metri mi imbatto in un campetto coltivato a cipolle. Allora sto contadino rompe veramente, penso. Ma possibile che per quattro cipolle, uno si deve spezzare la schiena fino a quassù? Se solo l'essere umano impiegasse  un decimo del tempo che impiega a sfruttare la terra per salvaguardarla, forse oggi non avremmo questo disastro ecologico che abbiamo. Non voglio rovinarmi lo spirito con questi negativi pensieri, lascio le cipolle al loro destino culinario e proseguo fino a raggiungere il versante nord della collina.

Anche qui vista magnifica, dietro l'orizzonte c'è la Sicilia la mia Italia, ci separano un ottantina di chilometri, in giornate terse se ne vedono le coste, e di notte le luci. Restando sull'isola invece, in fondo vedo un'altra collina tipica, la pianificherò per le prossime escursioni, non vedo l’ora di salirci per vedere finalmente, dopo tutto questo verde, solo l'azzurro del mare!


Sulla parte sinistra della foto si intravede l’abitato di Zebugg, altro paese caratteristico dell’isola, con vedute mozzafiato di splendidi tramonti sul mare.
Anche se contrario dalla mia natura schiva, cedo alla tentazione di un selfie, così da mostrarvi con chi avete a che a fare.


Questo programma di camminate, sarà importante per la mia salute sia fisica che mentale, mi permetterà di abbassare i miei elevati livelli di colesterolo e al tempo stesso, alzare la mia smarrita autostima. 

Lungo il versante nord della collina ancora senza nome, incontro i soliti avamposti in muratura a secco, una grotta che si apre con una porticina bassa da Hobbit sulla vallata e una strana pietra scolpita. Ricorda un po’ le antiche pietre miliari romane che si incontrano da noi. Romani colonizzatori, che in passato sono stati a lungo nell’isola, non come oggi da turisti o lavoratori. Pare che le incantevoli saline, patrimonio di rara bellezza, siano state opera loro, o per meglio dire, opera di quei nativi sottomessi in quel periodo storico.




La direzione della punta della pietra, indica la bella chiesa di Zebbug.



















Girando invece lo sguardo verso l’interno del pianoro, i colori indubbiamente cambiano. Mi ci dirigo, immergendomi nelle fragranze primaverili.




Dopo qualche decina di metri, il silenzio disturbato solo dal rumore del vento, cambia, sento un continuo ronzio di sottofondo a coprire tutto. Mi ritrovo nel mezzo di un impollinazione orgiastica di migliaia di api frenetiche. Con cautela torno sui miei passi verso il più sicuro baratro della collina. Se mi avessero considerato un intruso, questo resoconto ora non lo avrei scritto. 
Nel versante ovest il solito panorama verde azzurro, con all’orizzonte altre colline da esplorare, poco più in basso a destra, il paese di Ghasri (si legge Asri).


Ritorno verso il punto di partenza, camminando sul lato sud. Cespugli di timo combattono da sempre col vento come i soliti muretti bassi, immagino vi sarete stancati di sentirli nominare. Eccone uno tutto per voi, così non vi romperò più le scatole nel descriverli. 







Di sassi è pieno, comincio a cercarne uno per mia figlia Sara, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Mi ha chiesto, l’importante è che sia piccolo, ci mancherebbe altro che ridiscendo con un blocchetto! Cercando, vagliando e pensando, ritorno al nome da dare alla collina appena esplorata. La collina delle cipolle, non se ne parla proprio, dopo quella delle fave, mica stiamo qui a fare l'elenco ortofrutticolo! La collina delle api (Bees Hill) non è male, potrei anche chiamarla “la collina del sasso di Sara” (Sara’s Stone Hill), ma non se lo merita, quando all’improvviso, chinato nella ricerca della pietra, un rumore a pochi metri mi fa sobbalzare! Un coniglio nero salta fuori e in un batter d’occhio sparisce oltre la cresta! Ancora non mi rendo conto se  fosse reale, da quanto rapida è stata l’immagine, ma c’era. Il fato è sempre misterioso nei suoi accadimenti, e lo prendo come un segno ai miei interrogativi. “La collina del coniglio nero” (Black Rabbit Hill), questo sarà il nome della seconda collina. Speriamo solo di non averlo spinto incontro al cacciator silente giù da basso, non me lo perdonerei.
Trovo un paio di sassetti color rosso per mia figlia, ed uno più grande, sempre rosso, per me. Lo metterò su qualche mensola, nella mia casa Victoriana a testimonianza di questa Domenica alternativa. 
E ora di andare, trovo il sentierino nel lato sud est, lo discendo con cautela. A parte un passaggio, prima tra rocce sgretolate e dopo nella macchia fitta, in cinque minuti sono nuovamente al fresco della First Shadow. Anche oggi ho saltato il pranzo e la scarpinata mi creato un certo languore di stomaco. Nonostante il ritardo, credo che una italica spaghettata al volo avrà i minuti contati!
Riprendo la via di casa, la ormai consueta Yellow Red Trail, assaporando la beltà pacifica della natura. Poco prima del nero asfalto civilizzato, nascondo tra i soliti cespugli, l'amico Woody, che anche oggi mi ha sopportato senza emettere suono. Dovrà aspettare almeno sei giorni, prima che riconosca la mia mano.


Domani si ricomincia la settimana lavorativa, sono sicuro che volerà, perché avrò sempre nella testa e nel cuore, questi due giorni intensi, i primi, dopo un anno di ambientamento, con la consapevolezza ora, di fare parte integrante di questo nuovo mondo e di questa nuova porzione di vita.








giovedì 23 marzo 2017

Camminando per Gozo - Walking to Gozo


Esplorazioni sulle verdi colline di Gozo 1
By Anthony Withdown

"Ho camminato sulla lunga strada per la libertà. Ho cercato di non barcollare; ho fatto passi falsi lungo il cammino. Ma ho imparato che solo dopo aver scalato una grande collina, uno scopre che ci sono molte altre colline da scalare. Mi sono preso un momento per ammirare il panorama glorioso che mi circondava, per dare un'occhiata da dove ero venuto. Ma posso riposarmi solo un momento, perché con la libertà arrivano le responsabilità e non voglio indugiare, il mio lungo cammino non è finito" Nelson Mandela


18/3/17 Sabato

Ho deciso, salirò su tutte le misteriose e affascinanti colline di Gozo!
Cosa hanno di speciale e di misterioso queste colline rispetto alle migliaia che ho incontrato sino ad oggi? La prima cosa è la forma, a tre quarti della loro altezza, una lama invisibile ne ha troncato la sommità, rendendole piatte. Misteriose perché su pochissime hanno edificato paesi, in altre anche se disposte meglio sono stranamente disabitate. Scoprirò poi leggendo notizie sull’isola, che le colline sono un simbolo, tanto che sul logo di Gozo ci sono tre collinette stilizzate.

Dal terrazzo di casa, programmo le escursioni. Vicino a Victoria, la capitale di Gozo, ne vedo tre, una subito dietro la Cittadella e due in direzione della vallata che porta a Marsalforn, decido che inizierò da li.
Parto per l’avventura, percorrendo in discesa la strada che porta al mare di Marsalforn, trovo un sentiero che sale in direzione della mia prima collina. Sono circa le 12,00, ci sono un paio di abitazioni vuote, le supero e comincio a salire. Dopo pochi metri vedo un bastone contorto ma abbastanza solido. Nelle mie precedenti escursioni in Italia ero sempre accompagnato dal mio bastone di fiducia, che in questo momento riposa nella casa di mia madre a Roma. Il bastone per un escursionista è come la bacchetta magica in Harry Potter, è lui che ti sceglie. Quel ramo contorto è scomodo è l’unico che trovo prima della salita, con il mio coltellino svizzero lo pulisco e lo adatto alla mia mano. E’ brutto ma mi piace. Ho sempre rifiutato i bastoni tecnologici degli escursionisti alla moda. Il bastone, per me, deve essere del posto, deve essere intriso dell’aria, del sole e dell’acqua che lo ha generato. Devo instaurarci un rapporto, lui mi sostiene e mi guida io cerco di accudirlo e non spezzarlo sotto il mio peso.


Il sentiero inizialmente è in cemento e conduce a dei terrazzamenti più in alto dove i contadini coltivano le poche verdure in una terra aspra priva di acqua sorgiva. Questo inverno a Gozo, ha piovuto come non si vedeva da tempo e tutta l’isola in questo periodo è di un verde spettacolare. L’isola di Gozo non conosce la pianura, è tutta un sali scendi, con asperità, rocce e canali naturali. L’uomo nei secoli, ha sfruttato questi canali con degli sbarramenti strategici, che riescono a contenere l’acqua piovana più a lungo possibile. Acqua utilizzata generalmente per la povera ma saporita agricoltura dell’isola.


Dalle case disabitate escono un paio di cani, liberi ma fortunatamente di piccola taglia. Abbaiano all’intruso che però prosegue incurante di loro, stringendo con più forza il suo bastone.
Il sentiero è costeggiato da una natura lussureggiante, fiori coloratissimi a me sconosciuti, fichi d’india secolari, arbusti e rovi in fiore. 



Voltandomi vedo un suggestivo panorama. Al centro svetta la sagoma della chiesa di Xewkija (si legge Sciuchia), una delle più grandi cupole d'Europa. Un po' più in alto a sinistra, sopra una grande collina, si vede l'abitato di Xaghra (si legge Sciara), dove c'è una delle più antiche strutture megalitiche del mediterraneo, la famosa Ggantija. Una pace incredibile e semplice mi assale e anche un bel caldo del sole di mezzogiorno. Via il maglione, me lo lego alla vita e continuo a salire.

Abbandono il sentiero, per non invadere le coltivazioni di fave e cipolle, e guardando il mio obbiettivo, cerco una via per raggiungerlo. Dal lato in cui mi trovo vedo solo roccia instabile a strapiombo davanti a me. Non è il caso di fare lo stupido tentando una arrampicata in un terreno sconosciuto, quindi aggiro sul lato destro il promontorio cercando un punto di attacco. Mi trovo in mezzo all’erba alta e ai rovi, mi faccio strada con il bastone, guardando attentamente dove mettere i piedi. La base di questa collina è piena di rocce franate nel tempo, e l’erba ricopre le pietre che diventano letali per le caviglie distratte. Ogni tanto provo ad avvicinarmi alla parete cercando una via. La roccia calcarea è tutta una fessura, friabile ma al tempo stessa verticale, non sarà più alta di dieci metri, ma sufficiente per desistere. Alzo lo sguardo e in lontananza a circa cinquecento metri vedo anche la seconda collina, più alta della prima, ma vedo anche una sella tra le due colline che apparentemente sembra permettere una via più facile. Anche se la mia prima meta la posso quasi toccare, decido di fare la via più lunga dirigendomi verso la sella. Taglio nei campi tra i rovi salendo, incespicando nelle pietre nascondine. Scavalco terrazzamenti in muratura a secco, che delimitano altre coltivazioni a me ignote. Mi inerpico verso la sella, cercando sempre una via abbordabile nel territorio sconosciuto.





Sul lato destro della sella, alle pendici della collina più alta c’è una costruzione in mezzo ai rari alberi dell’isola, da quel boschetto povero, intravedo la linea che potrebbe portarmi alla mia agognata meta, mi ci dirigo, sudando ma fiducioso. Arrivo, finalmente all’ombra, la prima dopo la partenza. La costruzione è disabitata, è più un rifugio di caccia che un abitazione, lo deduco dai molti bossoli di cartuccia disseminati attorno. Sul tetto piatto c’è una piccola torretta, dove immagino stazionino i cacciatori in attesa delle rarissime prede. A Gozo ci sono pochissimi animali selvatici, d'altronde con pochi alberi e poca acqua, muoiono ancor prima di essere sparati. Ci sono vari tipi di uccellini e conigli selvatici per la maggior parte,  e malgrado questa scarsità di selvaggina, tutta l’isola è disseminata di torrette in pietra o legno, ideali per il bird watching ma più realisticamente per gli appostamenti predatori dei fanatici cacciatori. Io per natura pacifica e tollerante sono contrario a qualsiasi tipo di caccia, specialmente in un isola così piccola e povera di fauna, ma questo è un altro discorso, io sono un ospite, raccolto e accolto e non sono certo qui per interferire con le usanze dei nativi. E’ ora di raggiungere la mia prima collina, esco dalla fresca ombra e attraverso la sella di un centinaio di metri costeggiando un terrazzamento tra due coltivazioni grano.










Raggiungo l’attacco della collinetta, qui il dislivello è di un paio di metri ma praticabile con un sentierino che mi porta finalmente sopra. La collinetta è stretta e lunga, mi dirigo verso il perimetro per vederne il panorama. Mi affaccio su un paradiso di colori e sfumature con un bel vento che mi soffia in viso i profumi del timo di cui è disseminata l’isola.Vedo di fronte l'inconfondibile sagoma della Cittadella che si erge maestosa con ai suoi piedi Victoria, Rabat per i gozitani.


Subito alla sua destra c’è la terza collina citata all’inizio. Penso che sarà la meta del mio prossimo weekend. Faccio qualche foto con il mio cellulare per immortalare la visione.
Il bordo della collinetta è roccioso ed è anche pieno di fenditure, piccoli crepacci non più larghi di mezzo metro, fanno capire che l’azione erosiva della natura è in atto e negli anni modificherà questo stato di semplice bellezza. Cammino con attenzione, ogni tanto mi affaccio dal dirupo, riconoscendo i miei precedenti vani tentativi di salita. Ci sono miriadi di piante di fichi d’india, sassi, fiori, insetti che volano spensierati. Sembra un posto incontaminato, sembra, infatti lungo il percorso trovo una decina di torrette in pietra non più alte di un metro, con al centro una pietra a mò di seduta. Anche qui si appostano i cacciatori, che peccato.



Trovo pure una piccola costruzione bassa con un antenna trasmittente e un minuscolo pannello solare, naturalmente chiusa. Sarà un metro per un metro per due, non riesco ad immaginare a cosa serva. Vicino alla costruzione c’è un bel campetto coltivato a fave. Malgrado la difficoltà di accesso, l’homo sapiens è riuscito a metterci la sua firma. Cominciano a vedersi i frutti delle fave, anche se ancora piccole. Ne raccolgo uno e l’assaggio. Ha un gusto dolce amaro, meno aspro di quella italiana, forse perché ancora tenera nella sua gioventù. La prossima volta che vengo mi porto del pecorino e del vino, sempre che il contadino cacciatore non mi spari.
Pensando al nome da dare a questa mia prima meta, mi viene in mente “la collina delle fave”, che con un traduttore, poi a casa, chiamerò “Broad Bean Hill”. Lo stesso metodo di traduzione lo adotterò anche con gli altri riferimenti geografici, dopotutto Gozo, a parte il maltese, parla correttamente la sua seconda lingua, l’inglese.
Prima di ridiscendere, da questo privilegiato punto di vista, cerco di capire come arrivare alla seconda collina che sovrasta la mia visuale. Dal mini boschetto, al di la della sella, tratteggio una linea ideale di salita. Decido però di tornarci il giorno dopo e dedicare  ancora un pò di tempo all’esplorazione della zona circostante.






Salendo verso la sella di grano “Saddle Grain”, avevo intravisto un sentiero che dalla prima ombra “First Shadow”, portava dopo un centinaio di metri ad un altro mini boschetto dove si vedeva un’altra costruzione rurale. Anche questa alle pendici ripide della seconda collina. Scendo dalla BBHill, riattraverso la Saddle Grain e percorro il sentiero verso la seconda ombra “Second  Shadow”. Cinque minuti e sono al fresco, anche qui tracce umane, non le migliori, tubi in plastica, bidoni, e rifiuti tra cui una vasca da bagno abbandonata. La costruzione è più grande della prima incontrata nella First Shadow. Anche qui c’è una torre, in muratura, alta di colore blu sporco, “Blue Tower”, con una voliera al primo piano dove si agitano dei piccioni selvatici, a parte loro non c’è anima viva. Proseguo il cammino uscendo dalla Second Shadow in direzione della vallata che porta a Marsalforn. Cerco con lo sguardo se c’è possibilità di salita sulla vetta della seconda collina, ma da qui è ancora più impervia. Rimango con l’idea di seguire la linea vista dalla BBHill. Con relativa sorpresa scopro ad un centinaio di metri da me una torretta in pietra che si erge da un intricata vegetazione di piante di fichi d’india, canneti e alberi fitti.




Provo a cercare un passaggio, se c’è una torre, penso, ci sarà pure un sentiero. Li però la natura sembra impenetrabile. Cercando un passaggio tra rocce franate e arbusti, casco per la prima volta mettendo il piede su una pietra ballerina. A parte una lieve contusione sul braccio e sulla chiappa tutto ok. Mi dico, stai attento! Se ti fai male qui chi ti viene a raccogliere? Torno sui miei passi e come ultimo tentativo m’infilo nelle piante alte di fichi d’india. Quasi per magia trovo un abbozzo di passaggio e dopo qualche ghiri goro arrivo ai piedi della torre. La torre di miele “Honey tower”















 


Girandogli attorno, trovo una scala in ferro, salgo e vedo questo. Un sogno!
In primo piano la BBHill, con tutta la sua collana di terrazzamenti, che tanto mi hanno fatto penare nell'attraversarli, in secondo piano a destra si erge la Cittadella e sotto Victoria, in fondo a sinistra l'abitato di Xewkija, sotto un cielo magnifico. Mi immergo in questa paradisiaca atmosfera, respiro e mi purifico.

E’ ora di tornare, ero partito senza acqua ne cibo, e sono le due passate. Per oggi basta.
Sempre dalla mia precedente osservazione sulla BBHill, mi ero fatto un piano per il ritorno. Sinceramente riattraversare tutta quella sterpaglia e pietre malandrine non mi andava molto. Se poi dovevo in futuro portarci delle persone a rivivere questa bellezza, dovevo trovare un accesso più comodo. Osservando le casette di caccia nei boschetti e il sentierino carrabile, mi ero fatto l’idea che ci fosse un'altra via per raggiungere il posto. Anche se il sentiero portava dalla parte diametralmente opposta rispetto al versante della vallata per Marsalforn, pensavo che il tentativo ne valesse la pena. Alla luce di questo precedente ragionamento, riparto, percorrendo a ritroso il cammino. Arrivato alla First Shadow, prendo il sentiero in discesa in direzione Zebbug.












Attraverso come Mosè un mare di fiori giallo rossi, tanto intensi da far male agli occhi, battezzo il sentiero “Yellow Red Trail”, sarà il nome d’ingresso allo spettacolo della natura appena visto. Il sole è sempre cocente, cerco i miei inseparabili occhiali da sole che avevo riposto nella giacca a vento e trovo la tasca con la zip aperta. Occhiali da sole nemmeno l’ombra! Che fare, ritornare a cercarli o desistere? Desisto, domani è domenica, ho in programma l’esplorazione della seconda collina, li cercherò ma dubito che li troverò. Comunque penso che la perdita dei miei vecchi occhiali siano un prezzo irrisorio rispetto alla moltitudine di emozioni che ho provato nel breve arco di due ore e mezzo. Dopo una discesa nei colori di appena dieci minuti, arrivo alla strada asfaltata che da Victoria conduce a Zebbug. Prima di lasciare il mio fedele bastone, pensavo di dare anche a lui un nomignolo. In omaggio ad un grande scrittore regista, che tanto ha influenzato la mia crescita e il mio umorismo, il bastone di legno wood, d'ora in poi diventerà "Woody". Nascondo Woody tra i cespugli, domani entrerò da qui, spero di ritrovarlo.


M’incammino verso casa, all’inizio dell’abitato compro una bottiglietta d’acqua e della frutta, e mangiucchiando e sorseggiando, rivivo nella mente le emozioni della mia prima esplorazione gozitana. Torno indietro negli anni, quando sempre in solitaria mi avventuravo nella natura e ripenso a quello spirito che mi spingeva ad affrontare l’ignoto. Era tanto tempo  che non ritrovavo quello spirito, troppo.