Esplorazioni sulle verdi colline di
Gozo 1
By Anthony Withdown
"Ho camminato sulla lunga strada per la libertà. Ho cercato di non barcollare; ho fatto passi falsi lungo il cammino. Ma ho imparato che solo dopo aver scalato una grande collina, uno scopre che ci sono molte altre colline da scalare. Mi sono preso un momento per ammirare il panorama glorioso che mi circondava, per dare un'occhiata da dove ero venuto. Ma posso riposarmi solo un momento, perché con la libertà arrivano le responsabilità e non voglio indugiare, il mio lungo cammino non è finito" Nelson Mandela
18/3/17 Sabato
Ho deciso, salirò su tutte le misteriose e affascinanti
colline di Gozo!
Cosa hanno di speciale e di misterioso queste colline rispetto alle migliaia che ho incontrato sino ad oggi? La prima cosa è la forma, a tre quarti della loro altezza, una lama invisibile ne ha troncato la sommità, rendendole piatte. Misteriose perché su pochissime hanno edificato paesi, in altre anche se disposte meglio sono stranamente disabitate. Scoprirò poi leggendo notizie sull’isola, che le colline sono un simbolo, tanto che sul logo di Gozo ci sono tre collinette stilizzate.
Cosa hanno di speciale e di misterioso queste colline rispetto alle migliaia che ho incontrato sino ad oggi? La prima cosa è la forma, a tre quarti della loro altezza, una lama invisibile ne ha troncato la sommità, rendendole piatte. Misteriose perché su pochissime hanno edificato paesi, in altre anche se disposte meglio sono stranamente disabitate. Scoprirò poi leggendo notizie sull’isola, che le colline sono un simbolo, tanto che sul logo di Gozo ci sono tre collinette stilizzate.
Dal terrazzo di casa, programmo le escursioni. Vicino a
Victoria, la capitale di Gozo, ne vedo tre, una subito dietro la Cittadella e
due in direzione della vallata che porta a Marsalforn, decido che inizierò da
li.
Parto per l’avventura, percorrendo in discesa la strada che
porta al mare di Marsalforn, trovo un sentiero che sale in direzione della mia
prima collina. Sono circa le 12,00, ci sono un paio di abitazioni vuote, le
supero e comincio a salire. Dopo pochi metri vedo un bastone contorto ma
abbastanza solido. Nelle mie precedenti escursioni in Italia ero sempre
accompagnato dal mio bastone di fiducia, che in questo momento riposa nella
casa di mia madre a Roma. Il bastone per un escursionista è come la bacchetta magica
in Harry Potter, è lui che ti sceglie. Quel ramo contorto è scomodo è l’unico
che trovo prima della salita, con il mio coltellino svizzero lo pulisco e lo
adatto alla mia mano. E’ brutto ma mi piace. Ho sempre rifiutato i bastoni
tecnologici degli escursionisti alla moda. Il bastone, per me, deve essere del
posto, deve essere intriso dell’aria, del sole e dell’acqua che lo ha generato.
Devo instaurarci un rapporto, lui mi sostiene e mi guida io cerco di accudirlo
e non spezzarlo sotto il mio peso.
Il sentiero inizialmente è in cemento e conduce a dei terrazzamenti più in alto dove i contadini coltivano le poche verdure in una terra aspra priva di acqua sorgiva. Questo inverno a Gozo, ha piovuto come non si vedeva da tempo e tutta l’isola in questo periodo è di un verde spettacolare. L’isola di Gozo non conosce la pianura, è tutta un sali scendi, con asperità, rocce e canali naturali. L’uomo nei secoli, ha sfruttato questi canali con degli sbarramenti strategici, che riescono a contenere l’acqua piovana più a lungo possibile. Acqua utilizzata generalmente per la povera ma saporita agricoltura dell’isola.
Dalle case disabitate escono un paio di cani, liberi ma
fortunatamente di piccola taglia. Abbaiano all’intruso che però prosegue
incurante di loro, stringendo con più forza il suo bastone.
Il sentiero è costeggiato da una natura lussureggiante, fiori
coloratissimi a me sconosciuti, fichi d’india secolari, arbusti e rovi in
fiore.
Voltandomi vedo un suggestivo panorama. Al centro svetta la sagoma della chiesa di Xewkija (si legge Sciuchia), una delle più grandi cupole d'Europa. Un po' più in alto a sinistra, sopra una grande collina, si vede l'abitato di Xaghra (si legge Sciara), dove c'è una delle più antiche strutture megalitiche del mediterraneo, la famosa Ggantija. Una pace incredibile e semplice mi assale e anche un bel caldo del sole di mezzogiorno. Via il maglione, me lo lego alla vita e continuo a salire.
Abbandono il sentiero, per non invadere le coltivazioni di fave e cipolle, e guardando il mio obbiettivo, cerco una via per raggiungerlo. Dal lato in cui mi trovo vedo solo roccia instabile a strapiombo davanti a me. Non è il caso di fare lo stupido tentando una arrampicata in un terreno sconosciuto, quindi aggiro sul lato destro il promontorio cercando un punto di attacco. Mi trovo in mezzo all’erba alta e ai rovi, mi faccio strada con il bastone, guardando attentamente dove mettere i piedi. La base di questa collina è piena di rocce franate nel tempo, e l’erba ricopre le pietre che diventano letali per le caviglie distratte. Ogni tanto provo ad avvicinarmi alla parete cercando una via. La roccia calcarea è tutta una fessura, friabile ma al tempo stessa verticale, non sarà più alta di dieci metri, ma sufficiente per desistere. Alzo lo sguardo e in lontananza a circa cinquecento metri vedo anche la seconda collina, più alta della prima, ma vedo anche una sella tra le due colline che apparentemente sembra permettere una via più facile. Anche se la mia prima meta la posso quasi toccare, decido di fare la via più lunga dirigendomi verso la sella. Taglio nei campi tra i rovi salendo, incespicando nelle pietre nascondine. Scavalco terrazzamenti in muratura a secco, che delimitano altre coltivazioni a me ignote. Mi inerpico verso la sella, cercando sempre una via abbordabile nel territorio sconosciuto.
Sul lato destro della sella, alle pendici della collina più alta c’è una costruzione in mezzo ai rari alberi dell’isola, da quel boschetto povero, intravedo la linea che potrebbe portarmi alla mia agognata meta, mi ci dirigo, sudando ma fiducioso. Arrivo, finalmente all’ombra, la prima dopo la partenza. La costruzione è disabitata, è più un rifugio di caccia che un abitazione, lo deduco dai molti bossoli di cartuccia disseminati attorno. Sul tetto piatto c’è una piccola torretta, dove immagino stazionino i cacciatori in attesa delle rarissime prede. A Gozo ci sono pochissimi animali selvatici, d'altronde con pochi alberi e poca acqua, muoiono ancor prima di essere sparati. Ci sono vari tipi di uccellini e conigli selvatici per la maggior parte, e malgrado questa scarsità di selvaggina, tutta l’isola è disseminata di torrette in pietra o legno, ideali per il bird watching ma più realisticamente per gli appostamenti predatori dei fanatici cacciatori. Io per natura pacifica e tollerante sono contrario a qualsiasi tipo di caccia, specialmente in un isola così piccola e povera di fauna, ma questo è un altro discorso, io sono un ospite, raccolto e accolto e non sono certo qui per interferire con le usanze dei nativi. E’ ora di raggiungere la mia prima collina, esco dalla fresca ombra e attraverso la sella di un centinaio di metri costeggiando un terrazzamento tra due coltivazioni grano.
Raggiungo l’attacco della collinetta, qui il dislivello è di un paio di metri ma praticabile con un sentierino che mi porta finalmente sopra. La collinetta è stretta e lunga, mi dirigo verso il perimetro per vederne il panorama. Mi affaccio su un paradiso di colori e sfumature con un bel vento che mi soffia in viso i profumi del timo di cui è disseminata l’isola.Vedo di fronte l'inconfondibile sagoma della Cittadella che si erge maestosa con ai suoi piedi Victoria, Rabat per i gozitani.
Voltandomi vedo un suggestivo panorama. Al centro svetta la sagoma della chiesa di Xewkija (si legge Sciuchia), una delle più grandi cupole d'Europa. Un po' più in alto a sinistra, sopra una grande collina, si vede l'abitato di Xaghra (si legge Sciara), dove c'è una delle più antiche strutture megalitiche del mediterraneo, la famosa Ggantija. Una pace incredibile e semplice mi assale e anche un bel caldo del sole di mezzogiorno. Via il maglione, me lo lego alla vita e continuo a salire.
Abbandono il sentiero, per non invadere le coltivazioni di fave e cipolle, e guardando il mio obbiettivo, cerco una via per raggiungerlo. Dal lato in cui mi trovo vedo solo roccia instabile a strapiombo davanti a me. Non è il caso di fare lo stupido tentando una arrampicata in un terreno sconosciuto, quindi aggiro sul lato destro il promontorio cercando un punto di attacco. Mi trovo in mezzo all’erba alta e ai rovi, mi faccio strada con il bastone, guardando attentamente dove mettere i piedi. La base di questa collina è piena di rocce franate nel tempo, e l’erba ricopre le pietre che diventano letali per le caviglie distratte. Ogni tanto provo ad avvicinarmi alla parete cercando una via. La roccia calcarea è tutta una fessura, friabile ma al tempo stessa verticale, non sarà più alta di dieci metri, ma sufficiente per desistere. Alzo lo sguardo e in lontananza a circa cinquecento metri vedo anche la seconda collina, più alta della prima, ma vedo anche una sella tra le due colline che apparentemente sembra permettere una via più facile. Anche se la mia prima meta la posso quasi toccare, decido di fare la via più lunga dirigendomi verso la sella. Taglio nei campi tra i rovi salendo, incespicando nelle pietre nascondine. Scavalco terrazzamenti in muratura a secco, che delimitano altre coltivazioni a me ignote. Mi inerpico verso la sella, cercando sempre una via abbordabile nel territorio sconosciuto.
Sul lato destro della sella, alle pendici della collina più alta c’è una costruzione in mezzo ai rari alberi dell’isola, da quel boschetto povero, intravedo la linea che potrebbe portarmi alla mia agognata meta, mi ci dirigo, sudando ma fiducioso. Arrivo, finalmente all’ombra, la prima dopo la partenza. La costruzione è disabitata, è più un rifugio di caccia che un abitazione, lo deduco dai molti bossoli di cartuccia disseminati attorno. Sul tetto piatto c’è una piccola torretta, dove immagino stazionino i cacciatori in attesa delle rarissime prede. A Gozo ci sono pochissimi animali selvatici, d'altronde con pochi alberi e poca acqua, muoiono ancor prima di essere sparati. Ci sono vari tipi di uccellini e conigli selvatici per la maggior parte, e malgrado questa scarsità di selvaggina, tutta l’isola è disseminata di torrette in pietra o legno, ideali per il bird watching ma più realisticamente per gli appostamenti predatori dei fanatici cacciatori. Io per natura pacifica e tollerante sono contrario a qualsiasi tipo di caccia, specialmente in un isola così piccola e povera di fauna, ma questo è un altro discorso, io sono un ospite, raccolto e accolto e non sono certo qui per interferire con le usanze dei nativi. E’ ora di raggiungere la mia prima collina, esco dalla fresca ombra e attraverso la sella di un centinaio di metri costeggiando un terrazzamento tra due coltivazioni grano.
Raggiungo l’attacco della collinetta, qui il dislivello è di un paio di metri ma praticabile con un sentierino che mi porta finalmente sopra. La collinetta è stretta e lunga, mi dirigo verso il perimetro per vederne il panorama. Mi affaccio su un paradiso di colori e sfumature con un bel vento che mi soffia in viso i profumi del timo di cui è disseminata l’isola.Vedo di fronte l'inconfondibile sagoma della Cittadella che si erge maestosa con ai suoi piedi Victoria, Rabat per i gozitani.
Subito alla sua destra c’è la terza collina citata
all’inizio. Penso che sarà la meta del mio prossimo weekend. Faccio qualche
foto con il mio cellulare per immortalare la visione.
Il bordo della collinetta è roccioso ed è anche pieno di
fenditure, piccoli crepacci non più larghi di mezzo metro, fanno capire che
l’azione erosiva della natura è in atto e negli anni modificherà questo stato
di semplice bellezza. Cammino con attenzione, ogni tanto mi affaccio dal
dirupo, riconoscendo i miei precedenti vani tentativi di salita. Ci sono
miriadi di piante di fichi d’india, sassi, fiori, insetti che volano
spensierati. Sembra un posto incontaminato, sembra, infatti lungo il percorso
trovo una decina di torrette in pietra non più alte di un metro, con al centro
una pietra a mò di seduta. Anche qui si appostano i cacciatori, che peccato.
Trovo pure una piccola costruzione bassa con un antenna trasmittente e un
minuscolo pannello solare, naturalmente chiusa. Sarà un metro per un metro per
due, non riesco ad immaginare a cosa serva. Vicino alla costruzione c’è un bel
campetto coltivato a fave. Malgrado la difficoltà di accesso, l’homo sapiens è
riuscito a metterci la sua firma. Cominciano a vedersi i frutti delle fave,
anche se ancora piccole. Ne raccolgo uno e l’assaggio. Ha un gusto dolce amaro,
meno aspro di quella italiana, forse perché ancora tenera nella sua gioventù.
La prossima volta che vengo mi porto del pecorino e del vino, sempre che il
contadino cacciatore non mi spari.
Pensando al nome da dare a questa mia prima meta, mi viene in
mente “la collina delle fave”, che con un traduttore, poi a casa, chiamerò
“Broad Bean Hill”. Lo stesso metodo di traduzione lo adotterò anche con gli
altri riferimenti geografici, dopotutto Gozo, a parte il maltese, parla
correttamente la sua seconda lingua, l’inglese.
Prima di ridiscendere, da questo privilegiato punto di vista,
cerco di capire come arrivare alla seconda collina che sovrasta la mia visuale.
Dal mini boschetto, al di la della sella, tratteggio una linea ideale di
salita. Decido però di tornarci il giorno dopo e dedicare ancora un pò di tempo all’esplorazione della
zona circostante.
Salendo verso la sella di grano “Saddle Grain”, avevo intravisto un sentiero che dalla prima ombra “First Shadow”, portava dopo un centinaio di metri ad un altro mini boschetto dove si vedeva un’altra costruzione rurale. Anche questa alle pendici ripide della seconda collina. Scendo dalla BBHill, riattraverso la Saddle Grain e percorro il sentiero verso la seconda ombra “Second Shadow”. Cinque minuti e sono al fresco, anche qui tracce umane, non le migliori, tubi in plastica, bidoni, e rifiuti tra cui una vasca da bagno abbandonata. La costruzione è più grande della prima incontrata nella First Shadow. Anche qui c’è una torre, in muratura, alta di colore blu sporco, “Blue Tower”, con una voliera al primo piano dove si agitano dei piccioni selvatici, a parte loro non c’è anima viva. Proseguo il cammino uscendo dalla Second Shadow in direzione della vallata che porta a Marsalforn. Cerco con lo sguardo se c’è possibilità di salita sulla vetta della seconda collina, ma da qui è ancora più impervia. Rimango con l’idea di seguire la linea vista dalla BBHill. Con relativa sorpresa scopro ad un centinaio di metri da me una torretta in pietra che si erge da un intricata vegetazione di piante di fichi d’india, canneti e alberi fitti.
Salendo verso la sella di grano “Saddle Grain”, avevo intravisto un sentiero che dalla prima ombra “First Shadow”, portava dopo un centinaio di metri ad un altro mini boschetto dove si vedeva un’altra costruzione rurale. Anche questa alle pendici ripide della seconda collina. Scendo dalla BBHill, riattraverso la Saddle Grain e percorro il sentiero verso la seconda ombra “Second Shadow”. Cinque minuti e sono al fresco, anche qui tracce umane, non le migliori, tubi in plastica, bidoni, e rifiuti tra cui una vasca da bagno abbandonata. La costruzione è più grande della prima incontrata nella First Shadow. Anche qui c’è una torre, in muratura, alta di colore blu sporco, “Blue Tower”, con una voliera al primo piano dove si agitano dei piccioni selvatici, a parte loro non c’è anima viva. Proseguo il cammino uscendo dalla Second Shadow in direzione della vallata che porta a Marsalforn. Cerco con lo sguardo se c’è possibilità di salita sulla vetta della seconda collina, ma da qui è ancora più impervia. Rimango con l’idea di seguire la linea vista dalla BBHill. Con relativa sorpresa scopro ad un centinaio di metri da me una torretta in pietra che si erge da un intricata vegetazione di piante di fichi d’india, canneti e alberi fitti.
Provo a cercare un passaggio, se c’è una torre, penso, ci sarà
pure un sentiero. Li però la natura sembra impenetrabile. Cercando un passaggio
tra rocce franate e arbusti, casco per la prima volta mettendo il piede su una
pietra ballerina. A parte una lieve contusione sul braccio e sulla chiappa
tutto ok. Mi dico, stai attento! Se ti fai male qui chi ti viene a raccogliere?
Torno sui miei passi e come ultimo tentativo m’infilo nelle piante alte di
fichi d’india. Quasi per magia trovo un abbozzo di passaggio e dopo qualche
ghiri goro arrivo ai piedi della torre. La torre di miele “Honey tower”
Girandogli attorno, trovo una scala in ferro, salgo e vedo questo. Un sogno!
In primo piano la BBHill, con tutta la sua collana di terrazzamenti, che tanto mi hanno fatto penare nell'attraversarli, in secondo piano a destra si
erge la Cittadella e sotto Victoria, in fondo a sinistra l'abitato di Xewkija, sotto un cielo magnifico. Mi immergo in questa paradisiaca
atmosfera, respiro e mi purifico.
E’ ora di tornare, ero partito senza acqua ne cibo, e sono le due passate. Per oggi basta.
Sempre dalla mia precedente osservazione sulla BBHill,
mi ero fatto un piano per il ritorno. Sinceramente riattraversare tutta quella
sterpaglia e pietre malandrine non mi andava molto. Se poi dovevo in futuro
portarci delle persone a rivivere questa bellezza, dovevo trovare un accesso
più comodo. Osservando le casette di caccia nei boschetti e il sentierino
carrabile, mi ero fatto l’idea che ci fosse un'altra via per raggiungere il
posto. Anche se il sentiero portava dalla parte diametralmente opposta rispetto
al versante della vallata per Marsalforn, pensavo che il tentativo ne valesse
la pena. Alla luce di questo precedente ragionamento, riparto, percorrendo a
ritroso il cammino. Arrivato alla First Shadow, prendo il sentiero in discesa
in direzione Zebbug.
M’incammino verso casa, all’inizio dell’abitato compro una
bottiglietta d’acqua e della frutta, e mangiucchiando e sorseggiando, rivivo
nella mente le emozioni della mia prima esplorazione gozitana. Torno indietro
negli anni, quando sempre in solitaria mi avventuravo nella natura e ripenso a
quello spirito che mi spingeva ad affrontare l’ignoto. Era tanto tempo che non ritrovavo quello spirito, troppo.
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