giovedì 23 marzo 2017

Camminando per Gozo - Walking to Gozo


Esplorazioni sulle verdi colline di Gozo 1
By Anthony Withdown

"Ho camminato sulla lunga strada per la libertà. Ho cercato di non barcollare; ho fatto passi falsi lungo il cammino. Ma ho imparato che solo dopo aver scalato una grande collina, uno scopre che ci sono molte altre colline da scalare. Mi sono preso un momento per ammirare il panorama glorioso che mi circondava, per dare un'occhiata da dove ero venuto. Ma posso riposarmi solo un momento, perché con la libertà arrivano le responsabilità e non voglio indugiare, il mio lungo cammino non è finito" Nelson Mandela


18/3/17 Sabato

Ho deciso, salirò su tutte le misteriose e affascinanti colline di Gozo!
Cosa hanno di speciale e di misterioso queste colline rispetto alle migliaia che ho incontrato sino ad oggi? La prima cosa è la forma, a tre quarti della loro altezza, una lama invisibile ne ha troncato la sommità, rendendole piatte. Misteriose perché su pochissime hanno edificato paesi, in altre anche se disposte meglio sono stranamente disabitate. Scoprirò poi leggendo notizie sull’isola, che le colline sono un simbolo, tanto che sul logo di Gozo ci sono tre collinette stilizzate.

Dal terrazzo di casa, programmo le escursioni. Vicino a Victoria, la capitale di Gozo, ne vedo tre, una subito dietro la Cittadella e due in direzione della vallata che porta a Marsalforn, decido che inizierò da li.
Parto per l’avventura, percorrendo in discesa la strada che porta al mare di Marsalforn, trovo un sentiero che sale in direzione della mia prima collina. Sono circa le 12,00, ci sono un paio di abitazioni vuote, le supero e comincio a salire. Dopo pochi metri vedo un bastone contorto ma abbastanza solido. Nelle mie precedenti escursioni in Italia ero sempre accompagnato dal mio bastone di fiducia, che in questo momento riposa nella casa di mia madre a Roma. Il bastone per un escursionista è come la bacchetta magica in Harry Potter, è lui che ti sceglie. Quel ramo contorto è scomodo è l’unico che trovo prima della salita, con il mio coltellino svizzero lo pulisco e lo adatto alla mia mano. E’ brutto ma mi piace. Ho sempre rifiutato i bastoni tecnologici degli escursionisti alla moda. Il bastone, per me, deve essere del posto, deve essere intriso dell’aria, del sole e dell’acqua che lo ha generato. Devo instaurarci un rapporto, lui mi sostiene e mi guida io cerco di accudirlo e non spezzarlo sotto il mio peso.


Il sentiero inizialmente è in cemento e conduce a dei terrazzamenti più in alto dove i contadini coltivano le poche verdure in una terra aspra priva di acqua sorgiva. Questo inverno a Gozo, ha piovuto come non si vedeva da tempo e tutta l’isola in questo periodo è di un verde spettacolare. L’isola di Gozo non conosce la pianura, è tutta un sali scendi, con asperità, rocce e canali naturali. L’uomo nei secoli, ha sfruttato questi canali con degli sbarramenti strategici, che riescono a contenere l’acqua piovana più a lungo possibile. Acqua utilizzata generalmente per la povera ma saporita agricoltura dell’isola.


Dalle case disabitate escono un paio di cani, liberi ma fortunatamente di piccola taglia. Abbaiano all’intruso che però prosegue incurante di loro, stringendo con più forza il suo bastone.
Il sentiero è costeggiato da una natura lussureggiante, fiori coloratissimi a me sconosciuti, fichi d’india secolari, arbusti e rovi in fiore. 



Voltandomi vedo un suggestivo panorama. Al centro svetta la sagoma della chiesa di Xewkija (si legge Sciuchia), una delle più grandi cupole d'Europa. Un po' più in alto a sinistra, sopra una grande collina, si vede l'abitato di Xaghra (si legge Sciara), dove c'è una delle più antiche strutture megalitiche del mediterraneo, la famosa Ggantija. Una pace incredibile e semplice mi assale e anche un bel caldo del sole di mezzogiorno. Via il maglione, me lo lego alla vita e continuo a salire.

Abbandono il sentiero, per non invadere le coltivazioni di fave e cipolle, e guardando il mio obbiettivo, cerco una via per raggiungerlo. Dal lato in cui mi trovo vedo solo roccia instabile a strapiombo davanti a me. Non è il caso di fare lo stupido tentando una arrampicata in un terreno sconosciuto, quindi aggiro sul lato destro il promontorio cercando un punto di attacco. Mi trovo in mezzo all’erba alta e ai rovi, mi faccio strada con il bastone, guardando attentamente dove mettere i piedi. La base di questa collina è piena di rocce franate nel tempo, e l’erba ricopre le pietre che diventano letali per le caviglie distratte. Ogni tanto provo ad avvicinarmi alla parete cercando una via. La roccia calcarea è tutta una fessura, friabile ma al tempo stessa verticale, non sarà più alta di dieci metri, ma sufficiente per desistere. Alzo lo sguardo e in lontananza a circa cinquecento metri vedo anche la seconda collina, più alta della prima, ma vedo anche una sella tra le due colline che apparentemente sembra permettere una via più facile. Anche se la mia prima meta la posso quasi toccare, decido di fare la via più lunga dirigendomi verso la sella. Taglio nei campi tra i rovi salendo, incespicando nelle pietre nascondine. Scavalco terrazzamenti in muratura a secco, che delimitano altre coltivazioni a me ignote. Mi inerpico verso la sella, cercando sempre una via abbordabile nel territorio sconosciuto.





Sul lato destro della sella, alle pendici della collina più alta c’è una costruzione in mezzo ai rari alberi dell’isola, da quel boschetto povero, intravedo la linea che potrebbe portarmi alla mia agognata meta, mi ci dirigo, sudando ma fiducioso. Arrivo, finalmente all’ombra, la prima dopo la partenza. La costruzione è disabitata, è più un rifugio di caccia che un abitazione, lo deduco dai molti bossoli di cartuccia disseminati attorno. Sul tetto piatto c’è una piccola torretta, dove immagino stazionino i cacciatori in attesa delle rarissime prede. A Gozo ci sono pochissimi animali selvatici, d'altronde con pochi alberi e poca acqua, muoiono ancor prima di essere sparati. Ci sono vari tipi di uccellini e conigli selvatici per la maggior parte,  e malgrado questa scarsità di selvaggina, tutta l’isola è disseminata di torrette in pietra o legno, ideali per il bird watching ma più realisticamente per gli appostamenti predatori dei fanatici cacciatori. Io per natura pacifica e tollerante sono contrario a qualsiasi tipo di caccia, specialmente in un isola così piccola e povera di fauna, ma questo è un altro discorso, io sono un ospite, raccolto e accolto e non sono certo qui per interferire con le usanze dei nativi. E’ ora di raggiungere la mia prima collina, esco dalla fresca ombra e attraverso la sella di un centinaio di metri costeggiando un terrazzamento tra due coltivazioni grano.










Raggiungo l’attacco della collinetta, qui il dislivello è di un paio di metri ma praticabile con un sentierino che mi porta finalmente sopra. La collinetta è stretta e lunga, mi dirigo verso il perimetro per vederne il panorama. Mi affaccio su un paradiso di colori e sfumature con un bel vento che mi soffia in viso i profumi del timo di cui è disseminata l’isola.Vedo di fronte l'inconfondibile sagoma della Cittadella che si erge maestosa con ai suoi piedi Victoria, Rabat per i gozitani.


Subito alla sua destra c’è la terza collina citata all’inizio. Penso che sarà la meta del mio prossimo weekend. Faccio qualche foto con il mio cellulare per immortalare la visione.
Il bordo della collinetta è roccioso ed è anche pieno di fenditure, piccoli crepacci non più larghi di mezzo metro, fanno capire che l’azione erosiva della natura è in atto e negli anni modificherà questo stato di semplice bellezza. Cammino con attenzione, ogni tanto mi affaccio dal dirupo, riconoscendo i miei precedenti vani tentativi di salita. Ci sono miriadi di piante di fichi d’india, sassi, fiori, insetti che volano spensierati. Sembra un posto incontaminato, sembra, infatti lungo il percorso trovo una decina di torrette in pietra non più alte di un metro, con al centro una pietra a mò di seduta. Anche qui si appostano i cacciatori, che peccato.



Trovo pure una piccola costruzione bassa con un antenna trasmittente e un minuscolo pannello solare, naturalmente chiusa. Sarà un metro per un metro per due, non riesco ad immaginare a cosa serva. Vicino alla costruzione c’è un bel campetto coltivato a fave. Malgrado la difficoltà di accesso, l’homo sapiens è riuscito a metterci la sua firma. Cominciano a vedersi i frutti delle fave, anche se ancora piccole. Ne raccolgo uno e l’assaggio. Ha un gusto dolce amaro, meno aspro di quella italiana, forse perché ancora tenera nella sua gioventù. La prossima volta che vengo mi porto del pecorino e del vino, sempre che il contadino cacciatore non mi spari.
Pensando al nome da dare a questa mia prima meta, mi viene in mente “la collina delle fave”, che con un traduttore, poi a casa, chiamerò “Broad Bean Hill”. Lo stesso metodo di traduzione lo adotterò anche con gli altri riferimenti geografici, dopotutto Gozo, a parte il maltese, parla correttamente la sua seconda lingua, l’inglese.
Prima di ridiscendere, da questo privilegiato punto di vista, cerco di capire come arrivare alla seconda collina che sovrasta la mia visuale. Dal mini boschetto, al di la della sella, tratteggio una linea ideale di salita. Decido però di tornarci il giorno dopo e dedicare  ancora un pò di tempo all’esplorazione della zona circostante.






Salendo verso la sella di grano “Saddle Grain”, avevo intravisto un sentiero che dalla prima ombra “First Shadow”, portava dopo un centinaio di metri ad un altro mini boschetto dove si vedeva un’altra costruzione rurale. Anche questa alle pendici ripide della seconda collina. Scendo dalla BBHill, riattraverso la Saddle Grain e percorro il sentiero verso la seconda ombra “Second  Shadow”. Cinque minuti e sono al fresco, anche qui tracce umane, non le migliori, tubi in plastica, bidoni, e rifiuti tra cui una vasca da bagno abbandonata. La costruzione è più grande della prima incontrata nella First Shadow. Anche qui c’è una torre, in muratura, alta di colore blu sporco, “Blue Tower”, con una voliera al primo piano dove si agitano dei piccioni selvatici, a parte loro non c’è anima viva. Proseguo il cammino uscendo dalla Second Shadow in direzione della vallata che porta a Marsalforn. Cerco con lo sguardo se c’è possibilità di salita sulla vetta della seconda collina, ma da qui è ancora più impervia. Rimango con l’idea di seguire la linea vista dalla BBHill. Con relativa sorpresa scopro ad un centinaio di metri da me una torretta in pietra che si erge da un intricata vegetazione di piante di fichi d’india, canneti e alberi fitti.




Provo a cercare un passaggio, se c’è una torre, penso, ci sarà pure un sentiero. Li però la natura sembra impenetrabile. Cercando un passaggio tra rocce franate e arbusti, casco per la prima volta mettendo il piede su una pietra ballerina. A parte una lieve contusione sul braccio e sulla chiappa tutto ok. Mi dico, stai attento! Se ti fai male qui chi ti viene a raccogliere? Torno sui miei passi e come ultimo tentativo m’infilo nelle piante alte di fichi d’india. Quasi per magia trovo un abbozzo di passaggio e dopo qualche ghiri goro arrivo ai piedi della torre. La torre di miele “Honey tower”















 


Girandogli attorno, trovo una scala in ferro, salgo e vedo questo. Un sogno!
In primo piano la BBHill, con tutta la sua collana di terrazzamenti, che tanto mi hanno fatto penare nell'attraversarli, in secondo piano a destra si erge la Cittadella e sotto Victoria, in fondo a sinistra l'abitato di Xewkija, sotto un cielo magnifico. Mi immergo in questa paradisiaca atmosfera, respiro e mi purifico.

E’ ora di tornare, ero partito senza acqua ne cibo, e sono le due passate. Per oggi basta.
Sempre dalla mia precedente osservazione sulla BBHill, mi ero fatto un piano per il ritorno. Sinceramente riattraversare tutta quella sterpaglia e pietre malandrine non mi andava molto. Se poi dovevo in futuro portarci delle persone a rivivere questa bellezza, dovevo trovare un accesso più comodo. Osservando le casette di caccia nei boschetti e il sentierino carrabile, mi ero fatto l’idea che ci fosse un'altra via per raggiungere il posto. Anche se il sentiero portava dalla parte diametralmente opposta rispetto al versante della vallata per Marsalforn, pensavo che il tentativo ne valesse la pena. Alla luce di questo precedente ragionamento, riparto, percorrendo a ritroso il cammino. Arrivato alla First Shadow, prendo il sentiero in discesa in direzione Zebbug.












Attraverso come Mosè un mare di fiori giallo rossi, tanto intensi da far male agli occhi, battezzo il sentiero “Yellow Red Trail”, sarà il nome d’ingresso allo spettacolo della natura appena visto. Il sole è sempre cocente, cerco i miei inseparabili occhiali da sole che avevo riposto nella giacca a vento e trovo la tasca con la zip aperta. Occhiali da sole nemmeno l’ombra! Che fare, ritornare a cercarli o desistere? Desisto, domani è domenica, ho in programma l’esplorazione della seconda collina, li cercherò ma dubito che li troverò. Comunque penso che la perdita dei miei vecchi occhiali siano un prezzo irrisorio rispetto alla moltitudine di emozioni che ho provato nel breve arco di due ore e mezzo. Dopo una discesa nei colori di appena dieci minuti, arrivo alla strada asfaltata che da Victoria conduce a Zebbug. Prima di lasciare il mio fedele bastone, pensavo di dare anche a lui un nomignolo. In omaggio ad un grande scrittore regista, che tanto ha influenzato la mia crescita e il mio umorismo, il bastone di legno wood, d'ora in poi diventerà "Woody". Nascondo Woody tra i cespugli, domani entrerò da qui, spero di ritrovarlo.


M’incammino verso casa, all’inizio dell’abitato compro una bottiglietta d’acqua e della frutta, e mangiucchiando e sorseggiando, rivivo nella mente le emozioni della mia prima esplorazione gozitana. Torno indietro negli anni, quando sempre in solitaria mi avventuravo nella natura e ripenso a quello spirito che mi spingeva ad affrontare l’ignoto. Era tanto tempo  che non ritrovavo quello spirito, troppo.

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